Nei paesi dell’ex Jugoslavia molti ristoratori espongono sulla strada un maialino intero allo spiedo che attira la curiosità e l’appetito di chi transita. Anche in Sardegna è tradizione fare allo spiedo il porceddu, cioè il maialino da latte che non pesa più di sette-otto chili e richiede una cottura lenta di circa quattro ore. Una volta “sacrificare” un maialino non era cosa di tutti i giorni, infatti si tratta di un piatto pensato per i giorni di festa che poi invece è diventato comune e rientra nell’elenco ministeriale dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali.
Il maialino prevede un certo lavoro a monte, che consiste nel lavaggio, nel bruciare il pelo e nell’eliminare le interiora del suino. Il maialino va quindi tagliato per lungo, infilzato da coscia a muso e posizionato sul girarrosto col ventre a circa mezzo metro dalle braci. Lo spiedo in realtà viene tradizionalmente fatto in verticale, non in orizzontale. Nel corso della cottura il maialino può essere aromatizzato con gocce di lardo. Di solito a metà cottura viene salato affinché la cotenna a fine cottura risulti croccante.
C’è anche un altro metodo di cottura, quello “a carraxiu”, cioè sotto terra. Si scava una buca di circa 70 cm all’interno della quale si fa un fuoco per formare la brace. Un altro fuoco va preparato esternamente. Sulla brace della buca si allestisce un letto di erbe aromatiche sul quale adagiare il maialino per poi ricoprirlo di erbe e braci. Si ricopre il tutto con terra e pietre e si trasferisce il fuoco preparato esternamente sopra la buca. Anche in questo caso si lascia cuocere per circa quattro ore prima di riaprire la buca. Tipica pianta aromatica locale usata per insaporire il maialino è il mirto, le cui foglie possono anche essere usate per affumicare il maialino. Il porceddu viene abitualmente aromatizzato anche con rosmarino, timo, menta e alloro.
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