L’aumento del costo della pasta legato all’approvvigionamento di grano dall’Ucraina ha suscitato la reazione sconcertata di molti consumatori italiani nei confronti dei produttori: “Ma come, avete sempre sottolineato che il grano con cui fate la pasta è al 100% italiano e adesso ci dite che c’è penuria e quindi aumento di costo del grano perché arriva dall’Ucraina o dalla Russia?!”.
In realtà si dovrebbe prestare più attenzione a ciò che ogni azienda indica sulle confezioni di pasta: alcuni infatti utilizzano davvero grano coltivato in diverse regioni italiani; altri invece ricorrono ad esempio a grano proveniente dagli Stati Uniti e dall’Australia, non tanto quindi dall’Ucraina, che comunque è conosciuta anche come “granaio d’Europa” e rimane il quinto esportatore di grano al mondo (dopo Russia, Usa, Canada e Francia). I principali importatori di grano russo e ucraino sono alcuni paesi nordafricani, ma anche Turchia e Libano.

Aumentano i prezzi, anche a causa dei costi di trasporto e della siccità che ha colpito il Nord America, ma la pasta si consuma comunque, e quindi il problema adesso sta diventando la capacità di far fronte alla domanda perché le scorte si stanno esaurendo. Si attende perciò con una certa apprensione l’esito del prossimo raccolto, perché, se non ce ne sarà a sufficienza per rispondere alla richiesta di pasta, ad accaparrarsi il grano saranno solo i colossi del settore.
Di sicuro nei prossimi giorni assisteremo ad un’impennata fino al +30% dei prezzi dei prodotti a base di farina (pane, biscotti e dolci). A complicare il quadro già difficile si è aggiunta la scelta dell’Ungheria di limitare l’esportazione di cereali per garantirsi la capacità di rispondere al fabbisogno interno. Una decisione che potrebbe avere effetti pesanti sull’Italia, visto che circa il 30% del grano tenero macinato nel Belpaese proviene proprio dal paese magiaro. La scelta ungherese protezionistica, seguita anche dalla Bulgaria, è stata contestata dall’Italia perché violerebbe le regole dell’Unione Europea. C’è quindi il rischio che prossimamente gli impianti per la molitura italiani si vedranno costretti a sospendere l’attività con conseguente fine della produzione di farina bianca destinata a pane, pizze, dolci e altri lievitati.
Possibili ricadute negative anche sugli allevamenti, dal momento che proprio Ucraina e Ungheria sono i primi fornitori dell’Italia di alimenti per animali.