IGT, DOC e DOCG, e poi DOP, IGP, STG, PAT e DE.CO e Presidi Slow Food…sono tutte sigle che un consumatore consapevole dovrebbe conoscere perché aumentano il prezzo di un prodotto ma ne garantiscono la qualità.
Partiamo dalla distinzione usata in enologia tra il marchio DOC e quello DOCG. La Denominazione di Origine Controllata indica la zona della raccolta delle uve impiegate per un certo prodotto. E’ una questione di tradizione e di particolarità dell’ambiente.
Un vino diventa DOC quando ha tenuto la denominazione IGT (Indicazione Geografica Tipica) per almeno 5 anni. A sua volta il marchio IGT viene concesso ai vini le cui uve provengono per almeno l’85% da una delimitata zona geografica.
La Denominazione di Origine Controllata e Garantita viene riconosciuta ai vini che hanno ricevuto il marchio DOC per almeno dieci anni. Non è comunque solo una questione di tempo, ma di qualità. Infatti diventato DOCG solo i vini che superano analisi organolettiche e chimico-fisiche nel rispetto del disciplinare. Tali test vengono effettuati sia in fase di produzione che in quella di imbottigliamento con una commissione che si occupa dell’assaggio.
Se la certificazione DOC è italiana, il marchio DOP, Denominazione d’Origine Protetta, è corrispondente europeo per gli alimenti originari di una certa zona, prodotti che presentano caratteristiche legate all’ambiente e ad una lavorazione, elaborazione o trasformazione tipica limitata a quell’area.

L’IGP, Indicazione Geografica Protetta, si distingue dalla DOP perché per ottenerla dall’Europa è sufficiente che solo una delle fasi della produzione avvenga nell’area indicata.
Per STG si intende poi una Specialità Tradizionale Garantita, cioè un altro sistema di qualità europeo che vuole tutelare le produzioni tradizionali. I prodotti italiani che rientrano in questo gruppo sono la mozzarella, la pizza napoletana e il condimento all’amatriciana tradizionale.
Invece tra i sistemi di qualità italiani abbiamo i PAT, Prodotti Agroalimentari Tradizionali, a tutela di prodotti che da almeno venticinque anni vengono realizzati con una lavorazione tipica di un territorio. I PAT non coincidono con DOP o IGP dal momento che la filiera non risponde a limiti geografici ma è semplicemente riconoscibile per la tradizione che connota la produzione.
La DE.CO, cioè Denominazione Comunale, non arriva dal Ministero bensì dalla delibera di un Comune. Un esempio di DE.CO è il broccolo fiolaro del Comune di Creazzo (VI), cioè un prodotto tradizionale, stagionale e la cui filiera è ben conosciuta.
Sulla questione della sostenibilità, per preservare gli ecosistemi e le produzioni tipiche dall’avanzata delle produzioni industriali standardizzate e dal rischio estinzione è impegnata l’associazione no-profit Slow Food con i suoi oltre trecento presidi su territorio italiano.